Area Sacra di largo di Torre Argentina: Bulgari dona un milione per il restauro

L’Area Sacra di largo di Torre Argentina è un complesso archeologico che si trova sotto il piano stradale e rappresenta uno spazio di grande valore storico: qui, infatti, il 15 marzo del 44 a.C. trovò la morte Giulio Cesare. L’uccisione ad opera dei congiurati capeggiati da Marco Bruto, Caio Crasso, Decimo Bruto e Trebonio, avvenne nella Curia Pompeii o Curia di Pompeo dove era temporaneamente trasferito il Senato in fase di ristrutturazione. La casa del Made in Italy Bulgari ha donato un milione di euro per il restauro e la riorganizzazione dello spazio archeologico.

Il Campidoglio a febbraio 2019 ha siglato una convenzione con il brand del lusso Bulgari per la donazione di 500.000 euro che si aggiungono a una cifra poco inferiore avanzata dai fondi che la casa del made in Italy aveva donato alla Capitale per il restauro della Scalinata di Trinità dei Monti. L’erogazione liberale consentirà di effettuare una serie di interventi volti a una significativa valorizzazione del sito. L’area archeologica diventerà un museo a cielo aperto: saranno installate passerelle che consentiranno di percorrere l’area in sicurezza e saranno predisposti tutti i servizi al pubblico per consentire un agevole fruizione del luogo.

L’area è il più esteso complesso di epoca repubblicana, ospita quattro templi romani che vanno dal IV al II secolo a.C. e custodisce il basamento di tufo della Curia di Pompeo, presso la quale avvenne l’assassinio di Giulio Cesare il 15 marzo del 44 a.C. (le famose «Idi di marzo»), come narrato da Cicerone. La Sovrintendenza sta attuando le procedure necessarie per la conclusione della fase progettuale e per l’affidamento dei lavori la cui conclusione è stimabile entro la metà del 2021.

Oggi nell’Area Sacra si riconoscono i resti di quattro templi d’età repubblicana che nella piantina contrassegnati con le lettere A, B, C e D. Il primo pavimento, realizzato in lastre di tufo e steso sopra uno spesso strato di macerie, che innalzava l’intera piazza di circa m 1,40 rispetto all’allora piano di campagna, probabilmente fu messo in opera dopo il devastante incendio del 111 a.C. A quel piano è legata la costruzione del tempio B, a pianta circolare su un alto podio, preceduto da una scalinata fiancheggiata da due guance di tufo dell’Aniene. La maggior parte degli studiosi lo identifica con il tempio della Fortuna huiusce diei, fondato da Q. Lutazio Catulo dopo la battaglia di Vercelli del 101 a.C. che pose fine alla guerra contro i Cimbri. La dedica a una divinità femminile sembra confermata dal grandioso acrolito (statua con testa e parti nude realizzate in marmo, mentre il resto è in bronzo o altro materiale) di cui sono stati rinvenuti la testa, un braccio e un piede, oggi conservati nel Museo della Centrale Montemartini a via Ostiense.

Tra la fine del IV e l’inizio del III secolo a.C. sull’originario piano di campagna, costituito da terra battuta e ghiaia fu costruito il tempio C. Posto su un alto podio di tufo e preceduto da una scalinata, era dedicato probabilmente alla dea Feronia. Il culto, originario della Sabina, sarebbe stato introdotto a Roma dopo la conquista di questo territorio ad opera di M. Curio Dentato nel 290 a.C. Allo stesso livello del tempio C, alla metà del III secolo a.C. venne innalzato il tempio A. Di dimensioni molto più piccole del precedente, secondo alcuni studiosi è da identificare con il tempio che Q. Lutazio Catulo, console del 242 a.C., fece costruire in Campo Marzio in onore di Giuturna. Innanzi ai templi A e C furono rinvenute due piattaforme, cui si accedeva tramite quattro gradini, sulle quali erano posti due altari di peperino. L’altare davanti al tempio C è integro e reca l’iscrizione che ne ricorda il rifacimento ad opera di Aulo Postumio Albino, di quello davanti al tempio A, del tutto simile al precedente, si conserva invece solo la cornice inferiore.



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Nell’80 d.C. un altro furioso incendio, ricordato dallo storico Cassio Dione, devastò gran parte del Campo Marzio, compresa l’Area Sacra, che subì una ulteriore e più profonda trasformazione dovuta all’imperatore Tito Flavio Domiziano. Le macerie furono nuovamente spianate e al di sopra fu costruito il pavimento in lastre di travertino, ancora visibile. Vennero ricostruiti anche il portico settentrionale e gli alzati dei templi.
All’inizio del II secolo a.C. fu costruito il tempio D, dedicato ai Lari Permarini o, secondo altre ipotesi, alle Ninfe. Alcuni studiosi hanno voluto riconoscere nell’Area Sacra la Porticus Minucia Vetus, edificata dal console del 110 a.C. M. Minucio Rufo, dopo la vittoria sugli Scordisci. Tuttavia le caratteristiche del sito, privo ad esempio di portici su tutti i lati, come invece generalmente accade per le porticus antiche, rendono difficile questa identificazione.

Tra il tempio di Giuturna (A) e quello della Fortuna (B) si trovano i resti di un edificio in laterizio a due ambienti costruito in periodo tardo repubblicano, rifatto da Domiziano e restaurato nel III secolo: in esso sarebbe da riconoscere la sede degli Uffici per la cura degli Acquedotti e per la distribuzione di grano al popolo. Ai piedi del terrapieno che separa il piano stradale da quello delle rovine, è possibile riconoscere gli avanzi di una monumentale latrina pubblica di età imperiale con muro in mattoni e una lunga cunetta in blocchi in travertino. Dietro il tempio di Feronia (C) ci sono gli avanzi di un’altra latrina pubblica.

Dietro il tempio della Fortuna è possibile riconoscere ciò che rimane di un grande podio in opera quadrata di tufo, appartenente al complesso delle adiacenti fabbriche pompeiane : è ciò che è sopravvissuto al tempo della Curia di Pompeo, l’esedra utilizzata per le riunioni del Senato che sfociarono nell’uccisione di Giulio Cesare.

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All’inizio del V secolo l’area conservava ancora, nelle sue grandi linee, l’aspetto assunto con la ristrutturazione domizianea, ma nel corso di questo secolo deve avere avuto inizio il processo di abbandono e trasformazione degli edifici. In particolare per la fase tardoantica – di cui vennero portati alla luce consistenti resti poi in gran parte distrutti – si può ipotizzare, sulla base della documentazione di scavo e delle strutture ancora visibili, che l’area fu occupata da un complesso monastico. Successivamente tra l’VIII e il IX secolo d.C. vennero realizzate imponenti strutture in grandi blocchi di tufo, forse case aristocratiche anch’esse molto sacrificate dalla sistemazione del 1929, che preferì riportare i quattro templi “al primitivo isolamento”, demolendo gran parte degli edifici posteriori che erano stati costruiti fra di essi. Sempre al IX secolo appartengono le prime testimonianze dell’impianto di una chiesa all’interno del tempio A, che nel 1132 fu dedicata a san Nicola. Della fase di XII secolo restano l’abside, decorato con una teoria di santi, il pavimento cosmatesco e l’altare a cippo. La piccola abside, visibile sul lato sinistro della chiesa, è invece databile al XIV secolo.

L’aspetto attuale dell’Area Sacra di largo di Torre Argentina si deve alla sistemazione voluta dal Governatorato di Roma tra il 1926 ed il 1929 in seguito ai ritrovamenti archeologici per la demolizione e ricostruzione degli edifici a ridosso del Teatro Argentina. Nel 1927 l’eccezionalità dei ritrovamenti convinse il Governatorato a sospendere la concessione delle licenze di costruzione e ad estendere le ricerche archeologiche. L’area fu inaugurata il 21 aprile del 1929 da Benito Mussolini e da allora la sua sistemazione non ha subito modifiche di rilievo.
Un’annotazione curiosa riguarda l’origine della denominazione “Argentina” data alla zona: deriva da Argentoratum, attuale città di Strasburgo, da dove proveniva Johannes Burckardt (Giovanni Burcardo), cerimoniere di papa Alessandro VI Borgia, anche noto come il vescovo argentinensis. Egli infatti chiamò Argentina la torre inglobata nel suo palazzo di via del Sudario.  La zona è anche nota per la folta colonia felina che vi abita e che è tutelata dall’amministrazione capitolina.